Oggi vi parliamo della Riva del Vin e delle Malvasie e torniamo al 1501.
Fra le magistrature che governarono Venezia e la Serenissima quella creata nel 1501, chiamata “ uffizio dei VII Savj sopra la giustizia nuova” – ovvero la creazione di un ulteriore uffizio sopra ad uno già esistente e che aveva l’obbligo di sorvegliare sulla vendita minuta del vino, sulle taverne e sulle osterie, di modo che l’erario non fosse defraudato dai diritti dei dazi previsti dalla Serenissima – fu un organo inventato proprio per contrastare un dilagante fenomeno legato al consumo del vino nella città dei Dogi. Una tendenza al bere vino ben al di fuori dei tradizionali luoghi deputati alla mescita e al consumo che sembrava correre quasi come quella della popolarità del meretricio. Insomma se Venere impazzava, Bacco non faticava certo a tenerle testa in quelle che i veneziani chiamavano furatole e che altro non erano se non brutte copie di quei locali quali taverne e osterie che fino ad allora punteggiavano calli , campielli e sestieri in modo del tutto regolare e, soprattutto, sottoposti all’attento controllo del collegio di un’altra grande magistratura: i XII savj che soprassedeva ai dazi e al controllo di tutte le merci alimentari che venivano sbarcate e reimbarcate sulle rive di Venezia. Avendo pure cura di controllarne la salubrità e l’integrità qualitativa a tutto vantaggio di un consumatore che aveva certamente molta più importanza di quel che ne abbiamo noi per le grandi multinazionali di oggi.
Era ciò quel fruitore di una bevanda, il vino, che Venezia ha sempre avuto a cuore quale soggetto insostituibile di una lunga catena di persone che, ognuno per proprio conto e per propria misura, con il consumo di ogni merce fra le più diverse, portava sonanti zecchini nelle casse della Repubblica.
Una Serenissima illuminata e lungimirante specie nel reimpiego di tali somme per la sua stessa sopravvivenza e per il benessere dei suoi cittadini. I quali con le “furatole” spendevano si molto meno per bere i vini in voga in quei momenti ma non avevano certo garantita la qualità e l’originalità visto che, in queste oscure stamberghe, i tagli o le adulterazioni erano all’ordine del giorno: o meglio, della sera. Momento in cui, col favore delle tenebre, venivano sbarcati i vini o le bevande vinose più strampalate ben oltre Rialto e la Riva del Vin che erano invece i luoghi deputati per legge e per poter effettuare quel rigido controllo da parte dei dazieri che non aveva come unico obbiettivo il tentativo di realizzare il massimo profitto erariale ma trovava una motivazione ulteriore di natura sanitaria e morale, nel tentativo, operato dai saggi legislatori della repubblica, di limitare al massimo i problemi di ordine pubblico e sanitario causati dall’ubriachezza molesta. Per impedire possibili conseguenze dall’eccessivo consumo di alcool e per la qual cosa la legge garantiva per la vendita al minuto una diversa tassazione in base al livello di annacquamento del vino nel bicchiere, favorendo, di contro, il diffondersi tra spiantati e avari di un antenato del futuro e moderno spirtz. Insomma non solo tasse ma anche lavoro di controllo per i “Fanti della Giustizia Nuova” che dunque dovevano soprassedere all’attività di mescita ma anche allo stato di conservazione delle botti, controllando la bollatura delle cisterne per impedire alterazioni del prodotto. Ricordando a tal proposito, che il controllo doveva avvenire in perfetta sobrietà: un fante scoperto a bere veniva sospeso dall’attività per sei mesi mentre ogni fase di travaso del vino doveva avvenire per legge sotto l’occhio accorto delle autorità del fisco che così impediva l’aggiunta di acqua . Moda da sempre deprecata e altrettanto mal tollerata dai veneziani e dai molti “foresti” che giungevano nella città dei Dogi sapendo che il vino, prima che in altre parti, lì, era garantito. A cominciare già ben prima del 1501 e precisamente dal 1355 quando tramite decreto del Consigio dei Dieci fu creata la Scuola dei Venditori di Vino che esercitavano il mestiere del commercio e mescita di vino nei Magazèni, Bastioni e Samarcheti. Punto d’incontro per gli affiliati era la chiesa di San Salvador , all’interno della quale si trovava l’altare dedicato al santo protettore della Scuola, San Nicola di Bari, successivamente, dal 1488 la sede fu spostata in un piccolo edificio attiguo alla chiesa di San Cassiano. Non solo i venditori si riunivano in una Scuola, ma in città vi era anche la gilda dei trasportatori del vino, per la precisione la Scuola dei portatori e travasadori da vin, i quali si incontravano sotto l’altare dei loro protettori Tutti i Santi presso la chiesa di San Bartolomeo. I bastionieri, nome con cui erano chiamati i gestori dei Bastioni, costruirono tra loro un consorzio che non ottenne mai la qualifica di Scuola, ogni gestore rimaneva consorziato solo il tempo in cui gestiva la sua attività. Il raffinato mondo del commercio del vini levantini, venduti nelle famose Malvasie, si ritrovavano invece nella Scuola, istituita nel 1572 con sede nella chiesa di San Nicolò dei Frari, sotto l’altare di San Giovanni Battista. Scuola che rappresentava quei mescitori del vio fra i più noti e famosi di tutta la città e che appunto era la Malvasia. Un vino navigato, così veniva chiamato i vino proveniente dalla lontane terre d’oltre mare e del sud, che sembra aver dato anche la stura al nome degli attuali Bàcari. Ma queste , sui tipi di vini oltre le Malvasie o sull’origine de Bacàri sono altre storie che Veneziaeventi vi racconterà in un prossimo scritto. Per non essere troppo noiosi e non rovinare quella semplice e facile convivialità che contraddistingue queste pagine. Dedicate prima di tutto ad una città d’acqua che ha in ogni caso ha sempre avuto il massimo rispetto anche del vino.
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