Quando, dalla claustrofobia di una prigione si passa all’immensità di un’estate, quando il detto e il contraddetto convivono – il bene e il male – in ossimorici contrasti continui.
Quando c’è un corpo che non si accontenta ed è disperatamente in rivolta, evoluzione e ferite. Quando trovi un rifugio e dall’io, dal solo, vedi uno spiraglio nel noi, disperazione e redenzione grazie a semplici gesti di quotidianità…
Mi suggerisce questo l’ultimo raffinato libro di Gianmarco Busetto, poeta veneziano, attore e regista, con “La pelle o la devozione all’anima”, ed. La Vita Felice, freschissimo di stampa. Ed una breve lirica è anche nel titolo.
Due le sezioni: una dedicata alla pelle, al corpo che si trasforma, apprende e si meraviglia ogni volta; una all’anima, alla rielaborazione delle emozioni… Come se il tutto fosse distinto, come se quella provocazione data dalla vocale-congiunzione O, confermasse la sartriana separazione tra spirito e materia.
No, per l’autore – non solo non vi è alcuna divisione tra gli elementi, ma, al contrario, essi sono parte di un tutto inscindibile che permette al semplice “Esistere” di venire declinato in “Vivere”-.
REQUIEM PER UN CANCRO SEGRETO
mai nessuna vista potrà salvarsi
dalla prigione delle nostre ciglia
nessun fiore verrà deposto sulla lapide dell’arreso
diremo sarà dolce la nostra vita insieme
e baratteremo innocenza in cambio di impossibili perdoni
chiederemo aiuto a un dio che dovremmo
aiutare a non morire
e per qualunque cosa cercheremo un colpevole
se non per giustizia, almeno per tentare di capire il senso
dei nostri peccati
saremo il regno di Danimarca, la piaga rossa languente
la culla del piccolo Adolf e il fucile di Hemingway
ma anche brioche e sole e spremute e
lettere pensate per colmare distanze
e rideremo anche, un sabato sera, ubriachi
cercando equilibrio su mattonelle incerte
di redenzioni impossibili, di mezzenotti implacabili
perché solo la differenza tra il vissuto e il pensato
fa della vita un’esperienza o un’elemosina
e se alla fine risulteremo tempo perso
sarà solo perché la perfezione
si priva di qualsiasi possibilità di stupire
L’INCOSCIENZA
l’incoscienza è una tigre
alla quale abbiamo limato le unghie
un limone di ferita
una minuscola distrazione rubata alla prudenza
l’incoscienza non è nel vento del correre
ma nel privare di rabbia le frasi
nel trattenere amore in un petto di carezze
l’incoscienza sta nel deserto
in un grido che non esce
in questa isterica bulimia di fidate condizioni
in lei che dice
je n’en peux plus de cette existence de petite bourgeoise
l’incoscienza sta in abbracci tiepidi
nella smorfia del cavallo che abbiamo educato al trotto
l’incoscienza non sta nel non pensare ma
nel non fare per troppo pensare
nello sciacquare al sole dell’agio
la macchia della nostra miseria
nel confondere in trame di benessere
il dettaglio del nostro disagio
nel sorriso di un pagliaccio a cui abbiamo pianto il trucco
nel credere in un dio incosciente che
ha smesso di esistere molti miracoli fa
l’incoscienza è in lei che dice
“questa è l’ultima tra le canzoni d’amore”
nella corona di fiori al funerale di un vivo
nell’ultima danza prima della mezzanotte
nel porgere l’altra guancia a chi di guance si nutre
in una linea di denti condannati a morsicare denti
MONOLOGO DEL PIANTO
devo imparare ancora che ogni gesto
anche il più piccolo tra noi
è prezioso fratello del vivere
immenso come un’estate
leggero come quel fiore che
rubammo alla neve di Helsinki
devo imparare l’inaccettabile
che il mio grande amare
per quanto vampa, torcia o sole
non è fonte di fuoco sufficiente a
scaldare il vivere di noi
le nostre ore, i giorni
le nuvole sbadiglio e le pentole
devo imparare ancora che ciò che brucia
non necessariamente scalda
non sempre rischiara e risplende
amore, che non ho saputo amare
io non posso essere il silenzio che vorresti
io sono l’arena, la terra che prende
ma posso ancora imparare la prudenza
le tenere grammatiche del vivere
la gloria del mattino e la grazia della sera
amore, che un giorno mi dicesti
“come siete buffi voi uomini
ammirate l’orizzonte lontano tre giorni
e poi vi fermate a coltivare pomodori nell’orto”
amore, è ora, in questo mio lamento di pietra
con questo mio pianto di recinti e assenze che ti dico
“com’è bello l’orizzonte,
come sono buoni i pomodori
a tre giorni dall’orizzonte”
e lo dico ora che vorrei che ci fossi
ora che vorrei solo
gettarti le braccia al collo
poterti stringere
ora che mi manchi
ora che spero ritorni
che spero un giorno, io e te
potremmo essere
polso e preghiera
disordine e lenzuola
nuovi di zecca e celesti
noi, il giorno in cui
posando sulle mie palpebre
i petali rubati alla neve, dirai
“per i tuoi occhi di bimbo
per le tue labbra di bimbo
per il tuo ingenuo stupore
a tre giorni dall’orizzonte”
E di corpo e spirito vive anche la pittura di Francis Bacon.
Bacon, Milano, Palazzo Reale , Skira (a cura di Rudy Chiappini)
È uno stupendo catalogo, dedicato a Francis Bacon (che si apre con alcune fotografie, di Perry Ogden, vedute dello studio di F.Bacon), creato per la mostra antologica fatta a Milano, con dipinti, disegni e reperti fotografici nel 2008.
“La bellezza sarà convulsa o non sarà” di Rudy Chiappini
Come un lampo nell’oscurità le opere di Francis Bacon rivelano, per un istante che sfida la persistenza del tempo, la brutalità, la violenza, la convulsa bellezza della vita. Il suo sguardo vuole bloccare il flusso inarrestabile dell’esistenza e trasformarlo in un’immagine assoluta. Vuole coagulare sulla tela il senso di una quotidianità che si allontana e sfuoca nel tempo ma è ineludibile. Un’immagine vissuta che non può ritornare nel buio, che si fa rivelazione permanente della condizione umana. In quella luce rivelatrice la sua pittura, coacervo di fisicità ed energia mentale, diventa ricerca e conquista di immagini primordiali che si impongono per una propria autonomia ideativa, costituisce una visione nuova, di carne e di sangue, anziché essere soltanto simulacro, allusione indiretta alla realtà. (…)
La straordinaria lucidità intellettuale dell’artista anglo-irlandese ha saputo dare corpo a immagini forti, cariche di enigmi, rivelandosi più forte del suo volontario isolamento, delle sue fobie di uomo assediato, del suo temperamento inquieto e irrequieto.
La sua volontà di comunicare è andata oltre i suoi eccessi passionali, le sue manie, le sue provocazioni. (…)
Per Bacon la pittura è innanzitutto un’ossessione della vita, un tormento della carne e dello spirito, obbedisce alla necessità di trasferire sulla tela i fantasmi di un’esistenza fragile e disperata, fonte primaria e diretta del suo universo immaginifico.
Un intero capitolo è dedicato all’atelier di Francis Bacon a Dublino, “ egli provava un grande attaccamento al luogo e questo studiolo di otto metri per quattro era il centro della sua vita, il posto dove visse e lavorò per quarant’anni. Probabilmente, è anche dove egli realizzò alcuni tra i principali dipinti figurativi della storia della pittura europea.”
–Mi sento a casa in questo caos perché il caos mi suggerisce delle immagini. E comunque adoro vivere nel caos (…) amo le atmosfere caotiche- afferma Bacon.
Il suggerimento è che Bacon crea l’ordine dal caos. Ma le sue opere creano una propria anarchia; composizioni figurative che rifiutano di narrare una storia, parti indipendenti che creano una parvenza di unità; figure isolate l’una dall’altra in strutture compositive tradizionali… L’assalto era talvolta fisico. (B.Dawson)
E il corpo esce di scena…
Nicolai Lilin, autore di Storie sulla pelle, Einaudi, “Le storie raccontate in questo libro, anche se elaborate in chiave romanzesca, sono basate su esperienze vissute nell’infanzia e nell’adolescenza da me o da persone a me vicine. Ancor oggi alcune di queste storie vivono nei disegni che io stesso porto sulla pelle, ecco perché questo libro me lo sento addosso molto più degli altri”. N.L
I corpi, alla fine, raccontano delle storie: delle storie che ti porti addosso per sempre.
Quando immagine e racconto si spiazzano a vicenda.
Il marchio, il labirinto dei simboli. I tatuaggi siberiani nel corpo, tradizionalmente, significano la vita vissuta e gli anziani, dal corpo ormai senza più spazio, ne esigono rispetto e silenzio. E’ come fosse un diario segreto, intimo. Ogni simbolo inciso ha un segreto nascosto, ogni simbolo nasconde informazioni, chi non sa non deve sapere. Il corpo accentua i ricordi.
Sono storie vissute e sofferte, celate dietro ai misteriosi simboli impressi indelebilmente sulla pelle degli uomini.
– Il viso della Madonna non mi lasciava in pace e ho deciso di disegnarla per non dimenticare com’era fatta. La notte si è consumata nei tentativi di riprodurre il disegno, anche se l’avevo chiaro nella memoria non riuscivo a trasferirlo sulla carta; ricordavo ogni linea, ma non riuscivo a comporla in un’immagine unica e coerente. (…) Quando mi sono svegliato ho visto il mio tavolo pieno di schizzi orrendi, tentativi di catturare qualcosa che non mi apparteneva. Allora sono corso in chiesa, e mi sono fermato davanti alla grandissima icona che ritraeva una Madonna con Bambino. L’ho fissata (…)
Tempo e materia non hanno nessuna importanza, solo la vita conta. All’improvviso la Madonna non mi sembrava più un oggetto dipinto, ma una creatura viva che mi stava davanti in carne e ossa (…) –
Margherita Ruglioni
“Suggestioni letterarie e non solo… “ Un titolo per il dopocena? Una poesia che ti graffia l’anima? Una lettura leggera, un saggio, un fumetto.Le frasi di un altro, che ti appartengono come fossero state dettate dal tuo pensiero. Leggere è viaggiare, è incontrare, è non essere mai solo. Leggere è vita. Nella rubrica ti darò solo qualche suggerimento… sta a te poi scegliere e scoprire gli intrecci.
Chi sono?
Tosco-Veneta, lavoro nella casa dei libri. Abito in una casa stropicciata, tra carte, parole e colori.
Creativa e spontanea, organizzo eventi culturali in biblioteca a Mestre, sono anche pubblicista e mi occupo di comunicazione. Leggo, scrivo, viaggio, amo. Adoro il buon cibo, il mare, la luce.
Quando posso sorrido. Penso, sì, penso molto.
margherita.ruglioni@gmail.com
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