Il professionale. Avventure scolastiche di Ugo Cornia, Feltrinelli. Ugo Cornia, simpaticissimo autore modenese, racconta in prima persona, con il suo personalissimo modo di scrivere, il mondo della scuola cercando di cogliere il lato surreale ed anarchico della quotidianità di un insegnante precario della scuola professionale.
“Questo libro è all’incirca un anno e mezzo della mia vita. Un giorno, proprio mentre stavo guidando per andare a lavorare, mi è venuta di colpo l’idea di licenziarmi. Così ho fatto: sono tornato a casa e avevo addosso quella tipica felicità del licenziarsi, che non so se sia esattamente opposta alla tristezza di essere licenziati. Poi son rimasto senza soldi e, quasi contemporaneamente, senza una donna. Una mattina squilla il telefono e era una scuola che mi chiedeva se ero disposto a fare una supplenza sul sostegno, e io gli ho detto che mi ero licenziato e quindi ero stato depennato dalle graduatorie, e loro mi hanno detto che per quell’anno non avevano depennato, quindi che gli dicessi se accettavo o no, allora io gli ho detto che arrivavo subito, perché a quel punto c’era da baciarsi i gomiti a tornare a insegnare.”
Un romanzo autobiografico e autoreferenziale, dettato dalla scuola e da tutta la burocrazia che ci gira intorno. Burocrazia in primis quindi, rispetto alla umanità, tra graduatorie, nomine, trascuratezze per l’essere umano e le sue predisposizioni. Le sfide ed i perversi ostacoli che da veri apostoli della cultura certi insegnanti devono affrontare per svolgere la loro missione. Episodi surreali si susseguono tra ragazzini, da una parte, e adulti, dall’altra,
“ … E io gli ho detto che se ero stato in prigione è una cosa che riguardava me e non loro e ovviamente se ero lì a insegnare il fatto voleva dire che avevo pagato qualsiasi mio debito con la giustizia e quindi ero un libero cittadino alla pari di chiunque altro, e avevo chiuso così la cosa e mi ero rimesso a spiegare, ma tre minuti dopo una studentessa mi ha detto ma lei non è un assassino?
E io le ho detto che se ero o non ero un assassino era un problema mio e non loro, perché in ogni caso se ero lì significava che avevo pagato tutti i miei debiti con tutti e quindi non mi sembrava un argomento così interessante da discutere.
Me lo avevano chiesto di nuovo anche dopo due o tre giorni e gli avevo sempre risposto nello stesso modo non dicendo né sì né no, e si capiva che era una questione che li scombinava.
E però questi studenti, comunque nell’ipotesi che io fossi stato in galera e che forse fossi un assassino, da quel momento in poi avevano cominciato a comportarsi benissimo in classe, se per caso due chiacchieravano per un attimo, bastava che gli dessi un’occhiata che si mettevano subito zittissimi e in molti facevano anche degli appunti.”
Diario di scuola di Daniel Pennac, Feltrinelli, Pennac, affronta il tema della scuola non dalla parte degli insegnanti, degli adulti, ma dalla parte dei ragazzi, dei fannulloni, degli “asini”, dei “cattivi soggetti”, dalla parte di quelli che, privi di alcuna voglia, non amano assolutamente la costrizione nei banchi.
Pennac apparteneva a quella categoria, si era scoperto subito refrattario alla memorizzazione, alla conoscenza diventando bugiardo e ribelle. Avrebbe abbandonato la scuola se non avesse trovato qualcuno che lo avesse riportato sulla retta via.
A meno di non incontrare un insegnante capace di salvarci dalla condizione di ignoranti impenitenti.La redenzione del somaro è avvenuta molte volte nella storia della scuola e avviene ogni qual volta ci si imbatte in quegli strani personaggi che vivono immersi nella loro materia: professori che non sanno e non pretendono di avere dei proseliti, ma che sono così innamorati del loro mestiere da suscitare un istintivo impulso di emulazione.Con la solita verve, l’autore della saga dei Malaussène movimenta riflessioni e affondi teorici con episodi buffi o toccanti, e colloca la nozione di amore, così ferocemente avversata, al centro della relazione pedagogica.La sensazione di buio, solitudine e incapacità di fronte alla traccia di aritmetica, o alla domanda di storia; la certezza di non sapere, di non potercela fare, un enorme e indefinito punto interrogativo nella testa. Ci sono studenti a cui capita di inciampare nel vuoto cosmico quasi per caso, altri invece ne fanno un vessillo da brandire per tutta l’adolescenza, rinchiusi nella rassegnata consapevolezza di non poter mai superare quello “zero” scritto in rosso sul compito di matematica.
Quale che sia la materia insegnata, un professore scopre ben presto che, ad ogni domanda posta, lo studente interrogato ha a disposizione tre risposte possibili: quella giusta, quella sbagliata, quella assurda.Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che prova la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all’insieme. Siccome il piacere dell’armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica. Il problema è che vogliono farci credere che nel mondo contino solo i primi violini
La parola a Marco Lodoli, professore e scrittore di Il rosso e il blu. Cuori ed errori nella scuola italiana, Einaudi.
Insegnare a scuola mette in contatto con le verità del giorno: è come raccogliere uova appena fatte, ancora calde, magari con il guscio un po’ sporco.
Gli storici interrogano i secoli, ma in una classe di una qualsiasi periferia italiana si ascolta il battere dei secondi.Ebbene, un giorno, una ragazza di quindici anni, un’allieva che non aveva mai rivelato una particolare brillantezza, ha fatto una riflessione che mi ha lasciato a bocca aperta. Eravamo negli ultimi dieci minuti di lezione, quelli che spesso si spendono in chiacchiere con gli alunni.
La ragazza raccontava di volersi comprare un paio di mutande di Dolce e Gabbana, con quei nomi stampati sull’elastico che poi deve occhieggiare bene in vista fuori dai pantaloni a vita bassa.
Io le obiettavo che lungo la Tuscolana, alle sei di pomeriggio, passeggiano decine e decine di ragazze vestite così. Non è un po’ triste ripetere le scelte di tutti, rinunciare ad avere una personalità, arrendersi a una moda pensata da altri? E da bravo professore un po’ pedante le citavo una frase di Jung: «Una vita che non si individua è una vita sprecata». Insomma, facevo la mia solita parte di insegnante che depreca la cultura di massa e invita ogni studente a cercare la propria strada, perché tutti abbiamo una strada da compiere.
A questo punto lei mi ha esposto il suo ragionamento, chiaro e scioccante: «Professore, ma non ha capito che oggi solo pochissimi possono permettersi di avere una personalità? I cantanti, i calciatori, le attrici, la gente che sta in televisione, loro esistono veramente e fanno quello che vogliono, ma tutti gli altri non sono niente e non saranno mai niente. Io l’ho capito fin da quando ero piccola. La nostra sarà una vita inutile. Mi fanno ridere le mie amiche che discutono se nella loro comitiva è meglio quel ragazzo moro o quell’altro biondo. Non cambia niente, sono due nullità identiche. Noi possiamo solo comprarci delle mutande uguali a quelle di tutti gli altri, non abbiamo nessuna speranza di distinguerci. Noi siamo la massa informe».
Tanta disperata lucidità mi ha messo i brividi addosso.
E un altro consiglio? Leggete Pinocchio, rileggetelo… e guardate pure il cartone animato di Walt Disney
Margherita Ruglioni
“Suggestioni letterarie e non solo… ” Un titolo per il dopocena? Una poesia che ti graffia l’anima? Una lettura leggera, un saggio, un fumetto.Le frasi di un altro, che ti appartengono come fossero state dettate dal tuo pensiero. Leggere è viaggiare, è incontrare, è non essere mai solo. Leggere è vita. Nella rubrica ti darò solo qualche suggerimento… sta a te poi scegliere e scoprire gli intrecci.
Chi sono?
Tosco-Veneta, lavoro nella casa dei libri. Abito in una casa stropicciata, tra carte, parole e colori.
Creativa e spontanea, organizzo eventi culturali in biblioteca a Mestre, sono anche pubblicista e mi occupo di comunicazione. Leggo, scrivo, viaggio, amo. Adoro il buon cibo, il mare, la luce.
Quando posso sorrido. Penso, sì, penso molto.
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