Il fantasma di Fosco e della bella Elena, una storia di fantasmi , nobiltà e gelosia nella Venezia del 1598.
Fosco Loredan era tutto fuorché uomo calmo e riflessivo e, men che meno, indulgente con la leggiadria della sua giovane e bella moglie. Bella al punto da scatenare in lui continui moti di gelosia che una sera condussero la povera Elena Grimani, figlia di Piero. Fratello di tale Marino Grimani che pur titolato dal Corno del Gran Consiglio non riuscì a fermare una tragedia ancora oggi evocata quando si parla di fantasmi.
Siamo a Venezia, in una notte del 1598, e la bella Elena s’infilò in uno dei tanti campielli ciechi della città d’acqua, rincorsa dal Fosco, preso da uno dei suoi terribili attacchi di insano possesso per la donna. Tentando, forse, di trovare rifugio in una qualche porta del Campiello del Remier che si fosse aperta alle sue grida di aiuto. La sorte per la sventurata sembrava ormai segnata quando invece, rincasando verso il suo palazzo e udite le grida della donna, proprio suo zio, il Doge Marino , raggiunto il Campiello, si pose fra il nobile Fosco Loredan e sua nipote Elena Grimani. Una presenza che avrebbe impietrito qualsiasi lestofante ma non l’iracondo e gelosissimo Fosco che dopo aver spiegato le ragioni del suo assillo, che sarebbe derivato dalle frequentazioni della moglie Elena con un di lei cugino della famiglia dei Mocenigo, e aver ricevuto dal Doge l’imperioso ordine di rinfoderare la spada che aveva sguainato per colpire la moglie, finse di accondiscendere alla ragione. Ma, atteso che anche il Doge infilasse la sua lama nel fodero, dopo che l’aveva usata per parare la malcapitata Elena e dar più forza al suo comando, il Fosco urlò al Doge di guardarsi le spalle perché stavano sopraggiungendo uomini armati, distraendolo quei pochi attimi necessari ad aggiustare un preciso colpo di lama che mozzò di netto la testa della sfortunata Elena. Fu quel gesto ad esaurire la carica violenta di quella mente omicida che, immediatamente dopo, gettatosi sul cadavere smembrato della moglie, comincio ad invocare la pietà del Doge. Uomo e zio che riavutosi dalla feroce sorpresa, stava quasi per giustiziare sul posto quello che come nobile suo pari, Fosco Loredan, chiedeva perdono. In nome di una norma in uso per i nobili a quei tempi, che giustificava il marito tradito che giustiziava la moglie per infedeltà. Un perdono che il Doge Pietro Grimani tuttavia negò. Rimandando al volere di sua Santità che solo e sopra tutti avrebbe potuto concedere ad un nobile del rango del Loredan. Al contempo, in quell’oscuro Campiello del Remer che si affaccia e si chiude sul Canal Grande, ordinò al sanguinario marito di raccogliere il corpo mozzato e caricarselo sulle spalle mentre, con la mano colpevole del fendente, raccogliere la testa della bella nipote Elena e così, camminare fino a Roma per sottoporsi al giudizio del Papa che così l’avrebbe dovuto vedere. Un ordine giusto ma tanto ferino quanto il gesto del Fosco Loredan che partì alla volta della città eterna ma, ivi giunto, ancora con le vesti e le membra lordate del sangue del corpo che era stato costretto a portarsi sulle spalle, stringendone la testa fra le mani, non fu nemmeno ammesso alla vista del Papa. Da qui la decisione di tornare a Venezia, e finire la sua vita nello stesso luogo dove aveva stroncato quella della moglie. Giunto in campiello del Remer, si gettò in canale e si lasciò affogare proprio a qualche passo dalla riva. Lì non è raro vederle il suo fantasma riaffiorare tenendo ancora tra le mani la testa della povera moglie. fantasma anche lei suo malgrado.
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