Fra le specialità di Biagio Carnio, macellaio e ” luganegher ” o salsicciaio , che aveva bottega con uso di cucina a Venezia, a due passi da dove ancora oggi esiste la fermata dei vaporetti detta “riva de Biasio”, c’era lo “sguazetto”.
Un’intingolo quasi in forma di minestra con poco brodo, inventato dai macellai del medioevo che, con questo piatto, sfruttavano anche i piccoli ritagli e i resti di carne dopo la disossatura e le stesse ossa. Era un personaggio, questo Biasio, talmente famoso che non c’era veneziano o “foresto” giunto in città che non conoscesse la sua bottega. Come peggio non poté conoscerlo un mastro muratore che lavorando in un cantiere per l’edificazione di un aristocratico palazzo, proprio nelle vicinanze della taverna, durante un mezzodì, gustando il suo “sguazetto” in un giorno sul finire d’autunno del 1503, rimase impietrito nello scoprire sul fondo del piatto quella che sembrava una piccola falange di un dito di fanciullo. Superata la terrificante sorpresa e vincendo l’orrore, avvolse il macabro reperto in un lembo di fazzoletto e lasciò il locale. Dalla riva ad un vicino comando degli “sbiri”, i poliziotti dì allora, un minuto o due di strada e, ivi giunto, mostrò quanto trovato sul piatto servito dal “luganegher”. Pochi attimi di incredulità e subito, sbiri e armigeri , precipitandosi in Campo San Zan Degolà , fecero irruzione nel locale del Carnio ed entrati nella stanze adibite a cucina e a magazzino, scoprirono senza troppa difficoltà, altri resti umani di bambini. Quasi sicuramente appartenenti ad una non breve lista di fanciulli scomparsi negli ultimi mesi e dei quali erano in corso le ricerche ma mai nessun ritrovamento. Portato al cospetto dei magistrati, il Carnio confessata con freddezza le sua brutalità fu quindi processato e il 18 novembre 1503 fu emessa la sentenza della Quarantia Criminale. Fu così che Biagio Carnio venne “tratto a coda di cavallo dal carcere alla sua bottega, ove subì il taglio d’ambe le mani. Nel ritorno fu per istrada tanagliato, e giunto fra le due colonne della Piazzeta, decapitato, e messo a quarti, che s’appesero alle solite forche”. La casa e la bottega del luganegher furono rase al suolo n modo che non rimanesse nemmeno la più piccola traccia di tanta e tale efferatezza nella città della Serenissima. Ma per i veneziani la riva di Biasio, a distanza di tanto tempo, suscita ancora il ricordo del terrore di tante piccole vittime di cui si è perduto la memoria del nome ma non l’oblio eterno. Visto che il nome del Biasio è ancora oggi stampata in bella vista proprio su uni dei pontili di attracco dei vaporetti veneziani. Che è l’unico stallo a non segnalare, coincidenza tutt’altro che strana, l’arrivo del battello nei pressi di una chiesa , di un famoso palazzo o di una delle meraviglie architettoniche e urbanistiche di questa città costruita sull’acqua. Che sa tuttavia ricordare, anche se poggia sulla fluida ineluttabilità del panta rei, i suoi profili più oscuri in mezzo a miriadi di Serenissimi riflessi che ne hanno contraddistinto e ne caratterizzano la grandezza secolare.
Nelle foto la fermata di Riva de Biasio e il campo San Zan Degolà ( S. Giovanni decollato ) dove si trovava la Taverna del Biasio. La riproduzione di una testa incastonato su uno dei muri della piazza che secondo le antiche memorie sarebbe la riproduzione della testa del Biasio posta a futura memoria. Una memoria ben conservata del volume di Giusppe Tassini del1866, : Alcune delle più clamorose condanne capitali eseguite in Venezia sotto la Repubblica / pag. 134).
di Mario Stramazzo
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